


La melatonina è un “sincronizzatore”
La melatonina è una molecola “antica”, la sua presenza può essere fatta risalire agli organismi unicellulari fotosintetici primordiali. Una funzione primitiva e primaria della melatonina consiste nell’azione di scavenger (ovvero di “spazzino”) di radicali liberi ed antiossidante ad ampio spettro. Durante il processo evolutivo sono state acquisite altre funzioni fisiologiche della melatonina, tra queste le più rilevanti sono quelle connesse con l’attività cronobiotica.
La melatonina svolge, infatti, un ruolo importante nella regolazione dell’orologio biologico e dei cicli circadiani, cioè di tutte le funzioni dell’organismo che sono correlate e regolate dall’alternanza giorno-notte. Pertanto, si può affermare che la melatonina ha un ruolo fondamentale come cronobiotico dei ritmi biologici e delle attività neuroendocrine. Esempi di ritmi circadiani sono l’alternanza veglia-sonno, la secrezione del cortisolo e di varie altre sostanze biologiche, il ritmo di variazione della temperatura corporea etc.
Il sistema si compone di orologi (clocks) circadiani, che sono strutture biologiche localizzate in specifiche aree del sistema nervoso centrale o in tessuti periferici. L’organizzazione dei clocks è gerarchica: all’apice troviamo l’orologio principale (il master clock), localizzato nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo, controllato principalmente dai segnali luminosi. Al di sotto troviamo orologi encefalici secondari e orologi periferici, distribuiti in vari organi e tessuti, maggiormente sensibili a segnali di tipo metabolico e nutrizionale.
I ritmi circadiani, e più precisamente la rete degli “orologi” circadiani, consentono l’organizzazione temporale delle funzioni biologiche in relazione ai cambiamenti ambientali periodici (per esempio il susseguirsi del giorno e della notte, o l’allungamento delle giornate in estate) e quindi riflettono l’adattamento all’ambiente.
La sincronizzazione, da parte della melatonina, degli orologi periferici, riflette l’adattamento dell’individuo al suo ambiente interno ed esterno (ad esempio, gli effetti sincronizzati della melatonina sulla secrezione di ormoni come il cortisolo e l’insulina consentono all’individuo di essere completamente sveglio alle 8 del mattino e di poter iniziare il giorno mangiando e ottenendo un po’ di energia dall’assunzione di cibo). Il ritmo giornaliero della secrezione di melatonina trasmette informazioni interne che l’organismo utilizza per l’organizzazione temporale sia circadiana che stagionale delle proprie funzioni neuro-endocrine.

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La produzione fisiologica di melatonina
La produzione ed il rilascio di melatonina nella ghiandola pineale seguono un ritmo circadiano che vede un picco di produzione durante le ore di buio ed un livello basso durante le ore di luce. Una delle funzioni della melatonina è il trasferimento e la traduzione delle informazioni fotoperiodiche (come l’ora e la durata della giornata), in segnali fisiologici e metabolici che attivano i molteplici processi interni all’organismo in modo sincronizzato. Nei mammiferi, la melatonina regola i cambiamenti stagionali all’interno del perimetro neuroendocrino e riproduttivo. La melatonina è stata associata ai processi della pubertà e dell’invecchiamento, al controllo della pressione sanguigna, allo scavenging dei radicali liberi e alla regolazione dei processi antiossidanti, in particolare nei tessuti come retina, tratto gastrointestinale, timo, milza, cuore, tessuto muscolo scheletrico, fegato, stomaco, intestino, pelle, placenta, testicoli, ovaie, corteccia cerebrale e nucleo striato.
Alcune funzioni fisiologiche della melatonina
L’oscillazione circadiana è regolata in primis dal ciclo luce-buio, rilevato da cellule specializzate, localizzate nella retina dell’occhio, non coinvolte nel processo visivo. La regolazione è finemente controllata anche da input metabolici e comportamentali, come lo stato nutrizionale e il ritmo sonno-veglia. La desincronizzazione circadiana può condurre a un peggiore status metabolico e favorire molteplici patologie, che includono l’obesità, la sindrome metabolica, l’insulinoresistenza, il diabete mellito di tipo 2, ma anche alcune forme di cancro, alterazioni del microbiota, patologie psichiatriche e neurodegenerative e, come si può facilmente intuire, disturbi del sonno.
Inoltre, la melatonina è coinvolta nella pressione sanguigna e nella regolazione del sistema cardiovascolare autonomo, nella regolazione del sistema immunitario, ma anche in varie funzioni fisiologiche come le funzioni retiniche, la disintossicazione dai radicali liberi e le azioni antiossidanti proteggendo dallo stress ossidativo. Infine, la melatonina ha effetti fisiologici sulla riproduzione e sulla maturazione sessuale nei mammiferi, attraverso la sotto-regolazione dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH), ormoni presenti sia nella femmina che nel maschio con funzioni essenziali sullo sviluppo, la maturazione, il mantenimento delle funzioni delle ovaie e dei testicoli.
La melatonina e la sincronizzazione
La melatonina non è importante solo per la sincronizzazione sonno-veglia. Molte funzioni biologiche hanno fasi di crescita e di declino secondo cicli che si ripetono con frequenze giornaliere, mensili, stagionali o annuali, alcune sono legate alle fasi lunari, altre ai cicli di luce e buio. Tali schemi riflettono i ritmi biologici dell’organismo, cioè la sua capacità di tenere traccia del tempo e di dirigere di conseguenza i cambiamenti nelle funzioni biologiche. Quando gli animali cambiano tra modalità di comportamento diurna, notturna o stagionale (per es. il letargo), rispondono ai segnali generati da un pacemaker circadiano, che è scritto nei loro geni e che è sincronizzato con i cicli di rotazione terrestre, anticipa le transizioni tra il giorno e la notte e innesca cambiamenti appropriati nello stato comportamentale e nei substrati fisiologici. Nei mammiferi, un oscillatore circadiano gerarchicamente maggiore si trova nei nuclei soprachiasmatici (SCN) dell’ipotalamo. Questo orologio principale circadiano agisce come un timer multifunzionale per regolare il sistema omeostatico, inclusi sonno e veglia, secrezioni ormonali e varie altre funzioni corporee. (Cardinali 2006)
La melatonina e il sonno
L’evidenza suggerisce che dormire tra le 7 e le 8 ore di sonno a notte è ottimale per la stragrande maggioranza degli esseri umani adulti. Durate del sonno più lunghe e più brevi sono state associate a maggiori rischi per la salute come aumento di peso/aumento dell’IMC, ridotta tolleranza al glucosio/diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari e ictus, nonché aumento del rischio di mortalità.
Il corpo umano produce la propria melatonina a partire da due ore prima di coricarsi, a condizione che l’illuminazione e gli stimoli esterni siano ridotti. Questa azione naturale è nota come “insorgenza di melatonina da luce fioca” (DLMO) e aiuta a mantenere il corpo su un programma sonno-veglia regolare. In un soggetto normale il DLMO si registra normalmente attorno alle 21.00.
Andamento dei livelli di melatonina nelle 24 ore in una persona normale:
Oggi, il DLMO è considerato il miglior test disponibile, un “gold standard”, per misurare i livelli di melatonina ed eseguire il test DLMO è molto utile per scoprire e comprendere i disturbi nell’orologio biologico umano ed aiuta a comprendere meglio gli effetti della somministrazione di melatonina, in soggetti sani e normali, ai quali può essere utile l’assunzione di melatonina per fronteggiare situazioni come il “jet-lag” o un allungamento dei tempi di addormentamento.
È noto, infatti, che esiste una sorta di curva (chiamata PRC, curva di fase-risposta) di effetti della melatonina (somministrata) rispetto al proprio DLMO. Nella figura, viene riportata una PRC in una persona che ha un DLMO normale (solitamente attorno alle 21.00) e la secrezione di melatonina secreta dal proprio organismo.
Da questa curva si comprende come l’assunzione di una dose di melatonina durante le ore pomeridiane ha un effetto di anticipo dei ritmi circadiani, cioè si va a letto e ci si sveglia prima, mentre se l’assunzione avviene tra le 20 e le prime ore notturne, non si ha alcuna interferenza con i normali cicli sonno-veglia. Al contrario un’assunzione di melatonina nella fase terminale della notte potrebbe avere un effetto di ritardo dei ritmi circadiani naturali (cioè si tenderà ad andare a letto e a svegliarsi più tardi), questo effetto potrebbe verificarsi anche con formulazioni di melatonina “retard” in cui si ha un elevato livello ematico di melatonina anche a diverse ore dall’assunzione.
L’alterazione del ciclo sonno-veglia e l’infiammazione cronica
I disturbi del sonno sono associati ad un aumento dei livelli infiammatori e si ritiene che livelli elevati di infiammazione contribuiscano all’invecchiamento biologico e all’aggravamento della risposta immunitaria innata NF-κB/NLRP3, nota come “inflammaging”, una forma di infiammazione cronica, asintomatica e di basso grado che si verifica in assenza di infezione nell’età avanzata. La privazione del sonno negli adulti sani si traduce in una risposta immunitaria aspecifica caratterizzata da un aumento dei monociti circolanti e delle cellule NK, e livelli plasmatici elevati di citochine pro-infiammatorie (TNF-α e IL-6) e aumento della PCR. Ulteriori prove suggeriscono che il sonno è anche coinvolto nella regolazione della risposta immunitaria adattativa.
In totale, questi risultati forniscono una possibile strada attraverso la quale la perdita di sonno può influenzare l’infiammazione e la successiva salute. Questo stato infiammatorio cronico ha effetti nocivi sulla salute e contribuisce all’invecchiamento biologico e allo sviluppo di patologie legate all’età.
Variazioni medie dei valori plasmatici di proteina C reattiva (PCR) in quattro soggetti (rettangoli rossi) che hanno subito una parziale deprivazione del sonno per 10 giorni (4,2 ore di sonno/notte) e cinque soggetti controllo (rettangoli blu) che hanno avuto un sonno regolare (8,2 ore di sonno/notte).
(*) indica una differenza statisticamente significativa tra i valori del 1° e del 10° giorno (P<0.05).
Le linee tratteggiate orizzontali indicano i livelli di rischio cardiovascolare correlati con i valori di PCR secondo Ridker Circulation. 2001;103:1813–1818
La melatonina e l’età
La quantità di melatonina prodotta dalla ghiandola pineale dei mammiferi cambia in base all’età. La tendenza è che la produzione di melatonina pineale diminuisce con l’età avanzata.
Durante l’infanzia i livelli di melatonina notturna continuano a crescere fino alla pubertà, momento che coincide con il picco massimo di produzione endogena di melatonina e durante il quale avviene anche il primo e più significativo calo. Questa diminuzione determina l’aumento di altri ormoni: questi, a loro volta, segnalano all’organismo che è tempo di entrare nella pubertà. Col passare del tempo, i livelli di melatonina notturna continuano a decrescere e calano significativamente intorno ai 40 anni, anche in relazione a fattori esterni, tenendo presente che il declino più rapido avviene dai 50 anni in poi, fino a diventare minimo negli anziani. Non è una semplice coincidenza che, con il calo dei livelli della melatonina, compaiano i primi gravi sintomi di invecchiamento.
Negli esseri umani, la produzione di melatonina non solo diminuisce negli anziani, ma è anche significativamente inferiore in molte malattie legate all’età, tra cui il morbo di Alzheimer e le malattie cardiovascolari.
La melatonina in menopausa
La produzione di melatonina nella donna sembra avvenire con modalità differenti tra il periodo della “perimenopausa” e la menopausa conclamata e questo sembra coincidere con una serie di disagi diversi tra le due situazioni, come riportato da uno studio epidemiologico-clinico. Nelle donne in menopausa con disturbi del sonno si possono verificare livelli di melatonina endogena più bassi rispetto al periodo perimenopausale.
Quindi, secondo questi risultati, quasi la metà delle donne in perimenopausa e più della metà in postmenopausa soffre di disturbi del sonno. Inoltre, sembra che l’insonnia nelle donne in perimenopausa sia associata a un’alterata secrezione di melatonina nelle 24 ore, caratterizzata da uno spostamento del picco di secrezione dalle ore notturne alle prime ore del mattino, mentre c’è una tendenza alla diminuzione generale dei livelli di melatonina nelle donne in menopausa. Infatti, tra le donne in postmenopausa, è stato riscontrato un forte calo correlato all’età della secrezione notturna di melatonina fino a 15 anni dopo la menopausa, seguito da un calo estremamente graduale da allora in poi.
Variazione della concentrazione di melatonina plasmatica in donne in menopausa, suddivise in gruppi omogenei per anni dall’esordio della menopausa.
Melatonina e donna nella maturità
Con il progredire dell’età, la donna soffre di disturbi del sonno in modo differente rispetto all’uomo.
Si possono infatti riconoscere due distinti effetti sul sonno, uno correlato con l’età anagrafica, l’altro strettamente legato all’insorgenza della menopausa.
Nel 2004 Lucaks e colleghi hanno condotto uno studio analizzando alcuni parametri di efficacia del sonno confrontando diversi segmenti di soggetti:
- YC = Donne con regolari cicli mestruali (25-35 gg) di età 20-30 anni
- OC = Donne con regolari cicli mestruali di età 40-50 anni
- PM = donne in menopausa conclamata (senza più ciclo mestruale) di età 40-50 anni
Sono state escluse tutte le donne che manifestavano sintomi di vampate e sudorazioni notturne, per depurare le evidenze sul sonno dagli effetti di questi sintomi.
I risultati indicarono che le donne con cicli mestruali regolari, ma con età maggiore, lamentavano disturbi del sonno rispetto alle donne più giovani. Ancora più importante: le donne in menopausa conclamata avevano disturbi del sonno maggiori di quelle con età analoga ma con ancora cicli mestruali regolari.
Da queste osservazioni appare chiaro che la donna subisce un doppio effetto negativo sul sonno: uno deriva dall’avanzare dell’età (analogamente a quanto si osserva negli uomini in relazione al calo dei livelli di melatonina), l’altro dalla menopausa. (Lucaks 2004).
Questa considerazione è avvalorata anche dalle conclusioni di un altro studio (Obayashi 2015) che ha valutato i livelli di melatonina endogena di uomini e donne tra i 60 ed i 90 anni (misurata attraverso i metaboliti escreti nelle urine). I risultati dello studio evidenziano che le donne hanno livelli di melatonina endogena inferiori a quelli degli uomini di età analoga, indipendentemente da fattori esterni come l’esposizione alla luce.
Si conferma, quindi, che la donna in menopausa deve affrontare una riduzione della produzione di melatonina endogena superiore all’uomo.
La melatonina e la retina
La melatonina può essere un efficace antiossidante nella retina, agendo come scavenger diretto e indiretto di radicali liberi. Nell’occhio, la melatonina viene sintetizzata dalla retina e modula la velocità di rinnovamento quotidiano dei fotorecettori e la sensibilità alla luce. Inoltre, la retina contiene alte concentrazioni di acidi grassi polinsaturi. Il continuo bombardamento di radiazioni elettromagnetiche (cioè fotoni e UV) e il processo visivo che genera cascate di elettroni, rendono il sistema oculare estremamente soggetto allo stress ossidativo. Inoltre, è stato suggerito che l’accumulo, nel tempo, del danno dei radicali liberi nell’occhio, potrebbe spiegare l’elevata prevalenza di malattie degenerative oculari nella popolazione adulta e anziana.
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